Consiglio Regionale delle Chiese

Date: 22 Aprile 2020

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Messaggio del decano della chiesa evangelica luterana

Uniti al di là della pandemia

Bludau: bello l’invito al Padre Nostro ecumenico. Affidarsi a Dio  è una chiamata ad essere comunità

La preghiera come linfa e nutrimento del dialogo. La bellezza e l’importanza di rivolgersi a Dio oltre i confini geografici e di denominazione. Come figli e figlie, come sorelle e fratelli, come appartenenti all’unica famiglia umana. Soprattutto l’importanza di pregare, e di farlo “insieme”. Un avverbio che è il valore aggiunto della recita del Padre Nostro guidata ieri dal Papa. «In tedesco – spiega il pastore Heiner Bludau decano della Chiesa evangelica luterana in Italia – c’è un proverbio che dice: “Not lehrt beten”, cioè “il bisogno, l’emergenza insegna a pregare”. Vuol dire che la gente cerca aiuto in Dio e si rivolge a Lui più nelle difficoltà che in tempo di benessere. Io lo sentivo dai miei genitori che hanno vissuto durante la guerra, e non mi è mai piaciuto perché penso che la relazione con Dio non debba essere collegata a necessità particolari. Però forse davvero questi tempi difficili, in cui tanti riferimenti che sembravano ovvi si rivelano inefficaci, possono spingere a rivolgersi a Dio, a cercare una relazione fiduciosa con Lui. In questo contesto trovo molto bello l’invito a pregare insieme tutti i cristiani. Affidarsi a Dio non è soltanto un fatto individuale, ma chiama la comunità, in senso più ampio rispetto alla propria Chiesa. In questa richiesta di aiuto a Dio siamo per così dire “collegati”, superando i limiti delle rispettive confessioni. Si potrebbe dire che “l’emergenza insegna a pregare insieme”. E questa potrebbe essere una conseguenza positiva della crisi attuale, utile non solo oggi ma anche in futuro».

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Fare comunità al tempo del coronavirus. Messaggio da parte della Tavola Valdese

Care sorelle, cari fratelli in Cristo,

la scorsa settimana, mentre ognuno e ognuna di noi continuava la sua vita fatta di abitudini, impegni nella famiglia, nella società e nella chiesa, con il lavoro, lo studio, la gestione della casa, la cura dei figli e dei nipoti, il volontariato, gli incontri delle associazioni e le programmazioni, l’infezione da Coronavirus che da alcuni mesi aveva colpito la Cina è diventata anche per noi una realtà da affrontare, con serenità e discernimento. Ci siamo trovati di fronte ad un mondo diventato piccolo, di distanze ravvicinate. Da quando abbiamo cominciato a parlare di contagio in Italia ed è stato paventato il rischio di una epidemia, ci siamo spaventati e siamo stati bersagliati da messaggi talvolta contraddittori, talvolta fuorvianti che hanno contribuito ad aumentare il nostro senso di paura.

Le autorità civili competenti hanno diramato delle ordinanze di precauzione per dare modo di comprendere l’origine, la dimensione del contagio, arginarlo, organizzare le misure di assistenza sanitaria nella linea di una responsabilizzazione civica collettiva. Queste misure di precauzione hanno toccato anche la vita delle nostre chiese nella loro concreta organizzazione ed hanno anche toccato la nostra vita individuale e famigliare. Senza queste ordinanze ognuno ed ognuna di noi sarebbe in balia del suo atteggiamento spavaldo o terrorizzato in una situazione di potenziale disgregazione sociale.

Osservare le misure di precauzione è certamente una forma di cura di se stessi, dei propri famigliari e degli altri e altre, soprattutto di coloro che, affetti da patologie pregresse, si trovano più esposti ad esiti severi di un eventuale contagio da Coronavirus. Osservare le misure di precauzione è un modo per prendersi cura della società in cui viviamo: è qualcosa che facciamo per il bene nostro e degli altri, è assumersi la propria responsabilità civile.

Siamo riconoscenti a tutti gli operatori sanitari: medici di base, medici ospedalieri, operatori delle case di riposo, ricercatori, che in questi giorni sono impegnati su questo fronte in prima persona, come anche a tutte quelle persone che nei vari campi dei servizi e della produzione portano avanti le loro attività pur nel rispetto delle ordinanze di precauzione. Anche le nostre chiese hanno aderito a queste ordinanze rinunciando al diritto costituzionale di riunirsi liberamente, al desiderio di incontrarsi tra fratelli e sorelle, rivedendo radicalmente le proprie programmazioni.

In questi giorni, tuttavia, abbiamo potuto osservare che le ordinanze di precauzione non hanno potuto evitare l’insorgere di atteggiamenti e comportamenti dettati dalla paura con la corsa all’accaparramento di derrate alimentari e presidi sanitari. Quando la paura ci governa emergono aspetti della nostra umanità che ci allontanano dal prossimo e dunque dai principi della nostra fede: la concorrenza e l’egoismo vincono sulla solidarietà; la diffidenza, il sospetto, l’ostilità e in alcuni casi la violenza gratuita si affacciano pericolosamente nella nostra società, l’irrazionalità vince sulla ragione ed il buon senso.

Desideriamo prendere sul serio quel senso di paura verso l’ignoto e il desiderio di poter fare qualcosa davanti al senso di impotenza che ci coglie davanti ad eventi che non governiamo e che ci paiono minacciosi. Al tempo stesso non possiamo dimenticare che in molti brani la Scrittura, soprattutto di fronte ad eventi minacciosi, ci chiede di fermarci, esaminare noi stessi, metterci in preghiera per non perdere il senso profondo delle cose che ci accadono e della nostra vita, della vocazione a cui siamo chiamati.

Le ordinanze pubbliche prese per il bene comune in molte Regioni, intese a stimolare il senso di responsabilità, toccano anche il nostro essere chiesa, in particolare il riunirci nell’ascolto della Parola di Dio, nella lode, nella cura per gli altri e le altre. Noi non abbiamo precetti da osservare e ogni persona evangelica sa di poter leggere la Bibbia e pregare nella propria casa, con chi vuole associarsi in un piccolo gruppo di famigliari e vicini secondo le parole di Gesù: “Ovunque due o tre sono riuniti nel mio nome”. Ma la nostra vocazione va oltre l’individuo: Dio ci ha chiamati ad essere un corpo, ha raccolto le nostre individualità perché la nostra fede con le sue domande e le sue speranze ha bisogno del conforto degli altri e delle altre nell’ascolto comune della Parola annunciata. Anche per noi protestanti la chiesa non è un evento secondario. Ci sembra importante ricordare questo in giorni in cui la chiesa può sembrare solo un luogo di contagio da evitare e portare con noi questo pensiero anche nel tempo che seguirà la fine dell’emergenza.

Se l’annuncio e l’ascolto della Parola è fondamentale per la vita della chiesa, come il sostegno reciproco nell’ascolto, siamo certi che anche in questi giorni sapremo trovare i modi perché ciò non venga meno. I pastori e le pastore, i diaconi e le diacone possono essere raggiunti per telefono, per mail, sui social, possono essere accolti in casa o raggiunti negli uffici della chiesa o a casa. L’annuncio della Parola può farsi strada attraverso la lettura di meditazioni pubblicate in libri o sul nostro sito istituzionale chiesavaldese.org, su Riforma, attraverso le letture proposte da “Un giorno e una Parola”, attraverso l’ascolto del culto evangelico su RAI Radio 1 o Radio Beckwith Evangelica, da soli o con il coinvolgimento di pochi altri, o con iniziative ancora da sperimentare. La cosa importante è pensarci insieme e ricordare concreta- mente che anche oggi Dio ha qualcosa da dirci e ci parla, che la nostra paura può essere governata, che non siamo in balia di noi stessi.

La Tavola Valdese

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